Intervista a GLI ALBERI

Andiamo a scoprire questa formazione torinese, che ha appena pubblicato un ottimo disco come “Reinhold“, carico di emozioni decadenti sotto forma di un metal/rock piuttosto particolare e colmo di svariate influenze. La parola alla band.
1 – Ciao e benvenuti! presentate “Reinhold” per favore.
Ciao a tutti e grazie mille dell’opportunità. REINHOLD, il nostro secondo disco, è un concept album che racconta dell’ascesa alla parete Rupal del Nanga Parbat (inviolata all’epoca), nel Karakorum kashmiro, da parte dei fratelli Reinhold e Günther Messner nel 1970, all’interno di una spedizione internazionale. I due fratelli conquistarono insieme la vetta, da soli. La discesa, a causa delle avverse condizioni meteorologiche (le stesse che avevano impedito al resto della spedizione di raggiungere la cima), si risolse in tragedia: Reinhold riuscì a salvarsi da una valanga, che invece si rovesciò su Günther, seppellendolo. Reinhold riuscì a salvarsi nonostante questo e altri episodi estremi, come la perdita di 7 dita dei piedi a causa del congelamento e miraggi derivanti dalla mancanza di ossigeno quali l’avvistamento dello Yeti/Tshemo o l’allucinazione collettiva nota come sindrome del terzo uomo. Oltre che dalla storia di per sé, quello che davvero ci ha colpiti è il titanismo della reazione di Reinhold Messner, per cui questa impresa è stata l’inizio di una carriera alpinistica che ha dell’incredibile. Pensando un po’ ad alcuni concept che consideriamo pietre miliari e un po’ a come vengono costruite le opere liriche, REINHOLD è il modo in cui cerchiamo di raccontare questa storia.
2 – Vogliamo parlare dell’artwork di copertina che accompagna il vostro nuovo album? Pensate rispecchi pienamente il concept lirico dell’album?
L’artwork di copertina, così come tutte le grafiche del disco, fa parte di una serie di acquerelli del pittore torinese Simone Mostacci, tutti aventi come soggetto l’argomento dell’album. In copertina possiamo vedere due sagome minuscole, quella di Reinhold e quella di Günther, che salgono su un pendio, con sullo sfondo una montagna incommensurabilmente più grande di loro; il crinale su cui stanno camminando rivela la roccia viva sotto alla superficie, che forma le fattezze degli occhi di Reinhold Messner. La tavola usata per la copertina, nei nostri intenti e in quelli dell’artista, vuole rappresentare sia la piccolezza dei due alpinisti (e per esteso dell’essere umano in generale) rispetto all’immensità della montagna sia una sorta di fusione tra la roccia del Nanga Parbat e il volto duro e scolpito di Reinhold Messner, la cui carriera come leggenda dell’alpinismo nasce proprio in seguito a questa esperienza.
3 – Parlateci un po’ della vostra carriera musicale in pillole, dagli inizi ad oggi.
Nella nostra formazione iniziale, alcuni di noi si sono conosciuti lavorando insieme come baristi in una birreria di Torino e altri sui banchi di scuola. Attraverso diversi cambi di formazione e di stile, siamo attivi da undici anni e le nostre uscite sono state in diverse forme: abbiamo all’attivo due LP (The Glimpse del 2017 e REINHOLD del 2022), un EP (River God del 2015), due singoli (Kaiyo del 2019 e Kore wa nan desu ka del 2020) e una demo (Untitled del 2013). Cerchiamo di suonare live il più possibile da quando esistiamo e i concerti sono sempre stati alternati ai lavori in studio.
4 – State già pensando ad un nuovo album, ep, o quello che sarà?
Al momento non stiamo ancora componendo perché stiamo lavorando sulla preparazione dei live (che comprendendo monologhi e proiezioni di filmati d’epoca sono abbastanza complessi per noi da portare in scena), ma non vediamo l’ora di ricominciare a comporre. Di certo ci piacerebbe continuare a scrivere concept album, perché questo modo di comporre, che funziona un po’ al contrario rispetto ai nostri lavori precedenti, ci appassiona moltissimo. Le storie da raccontare non mancano di certo, spesso parliamo di quanti episodi, storie e personaggi meriterebbero secondo noi di essere raccontati e conosciuti da un pubblico più grande possibile.
5 – Come reputate la scena rock e metal italiana odierna?
Crediamo che siano da fare due discorsi separati. Se intendiamo un concerto rock come uno spettacolo in cui una band suona e ci sono la batteria, il basso e le chitarre distorte, nei palazzetti e negli stadi questa forma di spettacolo sembra più viva di qualche anno fa: forse sulla scia dei musicisti italiani sotto contratto con la Sony che la casa discografica ha deciso di spingere internazionalmente più o meno a partire dal 2021, parecchi artisti non tradizionalmente rock che fino a qualche anno fa probabilmente si sarebbero esibiti condividendo il palco con altri cantanti e con corpi di ballo adesso portano in tour un’intera scaletta riarrangiata per essere eseguita da una band che condivide con loro il palco. Basti pensare a Marracash, a Salmo e a Rancore: nessuno di loro è definibile come un cantante rock, ma portano sul palco uno spettacolo rock. Per quel che invece riguarda i palchi più piccoli, parlando non solo di rock e di metal ma in generale, la crisi è evidente: molti chiudono a vista d’occhio, altri sono sempre con l’acqua alla gola e mezzi vuoti, altri ancora chiedono l’affitto alle band che vogliono suonare. Pensiamo che la crisi indotta dalla chiusura dei locali in periodo pandemico, certamente gravissima, sia solo uno dei due grossi problemi: l’elefante nella stanza è la mancanza di domanda. Quando è l’ultima volta che qualcuno che non è strettamente un appassionato di musica ha scelto in quale locale passare la serata in base alla presenza o meno di musica live? L’unico di noi che al momento sta vivendo di musica paga le bollette suonando ai matrimoni. Suonare ai matrimoni è un’attività dignitosissima, ma che sia praticamente l’unica entrata è sintomo di un momento preoccupante. Anche per parlare di musicisti con numeri molto più alti, ci fa rabbrividire un dato: Marracash, dopo due dischi (uno del 2019 e uno del 2021) che hanno macinato record su record, grandi successi sia di critica che di pubblico, ha fatto un tour di 13 date in tutto. Veramente la domanda è così bassa da non permettere a un artista così popolare sui servizi di streaming e che sul palco propone un live rock e un po’ oltre i canoni del rap di fare più di 13 date? Le nostre speranze sono negli adolescenti: dopo anni in cui il numero di ragazzi che suonava era diventato esiguo, qualcuno sta ricominciando. Sicuramente saranno complici operazioni commerciali discografiche che vedono la musica come un prodotto e non potrebbero essere più distanti da come noi vorremmo che fosse, ma intanto l’effetto è che i ragazzi (e, finalmente, superando uno stigma sociale fuori tempo massimo, anche le ragazze) stanno ricominciando a comprare chitarre e bassi e a buttarsi in sala prove. Come sempre saranno i ragazzi a salvare il mondo, e noi, che ormai saremo vecchi, come stronzi rimarremo a guardare.
6 – In cosa pensate di distinguervi dalla massa? C’è un aspetto particolare che vorreste evidenziare?
Non riteniamo che la nostra musica sia rivoluzionaria, ma cerchiamo sempre di avere due obiettivi: fare qualcosa di nuovo e dire qualcosa di vero. Sul fare qualcosa di nuovo, quello che ci diciamo sempre è che non siamo abbastanza bravi per fare qualcosa che esiste già, perché di sicuro qualcuno lo avrà già fatto meglio. Questo ci spinge a fare sempre qualcosa di nuovo, assieme alla necessità di saper sempre rispondere alla domanda “perché?” su qualunque nostro pezzo o disco. Vogliamo sempre essere sicuri di sapere il perché di ogni cosa che facciamo. Sul dire qualcosa di vero, fa strano per una band del nostro genere parlare di Lady Gaga, ma, oltre a considerarla un’artista immensa, da un film che ha lei come protagonista, A star is born, traiamo il nostro mantra su cosa vorremmo esprimere: “Se non peschi a fondo nella tua cazzo di anima, non durerai”. Il nostro obiettivo è continuare a pescare in fondo alle nostre anime e provare a portare in musica quello che viene fuori, per quanto possa spaventarci. Pensiamo che sia l’unica cosa che abbiamo da portare come artisti e come esseri umani.
7 – Quali sono le vostre influenze musicali e che peso hanno sul vostro sound?
Veniamo da retroterra musicali molto diversi, sia come ascoltatori che come musicisti: il nostro bassista Davide, che milita anche in progetti black metal e gothic, era in una band thrash metal assieme al chitarrista Matteo; il nostro tastierista Giovanni suona in progetti math rock/post-rock e di supporto a vari cantautori. Da questo viene fuori il crogiolo delle nostre influenze: mettiamo insieme parecchio metal (soprattutto il black metal prodotto a Oslo negli anni ’90, i Sentenced, i Mastodon, i Sunn O))) e alcuni pezzi dei Black Sabbath) con cose che con il metal c’entrano poco o nulla (i dischi dark dei Cure, gli Alcest, Aurora, i Mogwai, Wagner, la colonna sonora di Chernobyl di Hildur Guðnadóttir e quella di Dune di Hans Zimmer e Guthrie Govan) e viene fuori un tutto che, nelle nostre intenzioni, prova a essere più della somma delle parti.
8 – Ultime parole libere. Grazie di essere stati con noi. Un saluto!
Vi ringraziamo tantissimo per la possibilità che ci avete dato di fare due chiacchiere su REINHOLD, che è un lavoro a cui teniamo moltissimo. Vi salutiamo con la speranza di vederci di persona, sopra o sotto un palco: i concerti sono l’anima di tutta la musica. Andiamoci tutti insieme.
By Redazione
Links:
https://www.facebook.com/glialberitorino
https://glialberi.bandcamp.com/