THE GREAT DIVIDE “Higher” (Recensione)

Full-length, Independent (2022)

Seconda prova discografica per i The Great Divide, band proveniente da Roma e che propone un solidissimo hard rock. Questo “Higher” esce a cinque anni di distanza dal precedente full-length “Union” e ci consegna una band davvero in gamba e che sembra aver appreso bene la lezione del vecchio rock duro, ma appare anche chiaro che questa band abbia aggiunto alla propria base “classica” alcuni rimandi alla scena alternativa degli anni Novanta. Higher’ è stato registrato e mixato da Matteo Andolina presso l’ Echo Sound Studio e masterizzato a Seattle (USA) da Kelly Gray (Queensrÿche, Slave to the System, Geoff Tate). Per certi versi potremmo accostare alcune canzoni di questo album a una formazione come i Backyard Babies, ma sono tante le facce di questo album. Si va dalle spedite “Speed”, “Broadway” e “No Doubt” (quest’ultima mi ha molto ricordato gli Stone Temple Pilots), davvero ottime nell’aprire l’album col botto, per poi proseguire con altre tracce valide ma che cambiano un pochino la tendenza votata alla velocità fino a qui vista.

Ed ecco che “Everything Is Ruined” calma un attimo le acque e accarezza con le sue note malinconiche ed intime. Una classica semi ballad molto melodica e ben costruita, che vede nei ritornelli degli spiragli di luce e speranza. Si prosegue con un pezzo pienamente calato nella scena grunge come “Rebirth”, e lo stesso discorso si può fare con “Lines”, che è costruito tra l’alternanza di momenti pacati ed improvvise esplosioni di elettricità. Andando verso il finale dell’album si fa notare, grazie ad un riffing serrato di chitarra, “Hell Scar”, che poi si apre alla melodia nel ritornello, con un tempo di batteria molto catchy. Citerei ancora “Piece Of Me”, brano che nuovamente cita gli Stone Temple Pilots, ma anche Soundgarden e Pearl Jam. A parte queste influenze, che sono un po’ presenti in tutto l’album, io ho sentito vaghi echi di band come Skid Row e Motley Crue, ma quelli degli anni Novanta e di album ingiustamente bistrattati come “Subhuman Race” e “Motley Crue”. In quegli album a mio avviso si potevano scorgere tanti begli spunti che traghettavano l’hard rock di vecchia concezione verso sonorità più moderne…ma tutti sappiamo come reagì all’epoca il pubblico!

E’ bello però vedere che ci sono band come i The Great Divide, che ripescano tra varie correnti del rock duro, proponendo un album coi controfiocchi e molto potente. In chiusura però la band piazza una ballad come “Stay”, scelta coraggiosa ma che tutto sommato ci può stare, e quindi promuovo questo album senza troppi indugi.

Recensore: Travis

Tracklist:
1. Speed
2. No Doubt
3. Broadway
4. Everything Is Ruined
5. Rebirth
6. Lines
7. Hell Scar
8. Piece Of Me
9. Clearly
10. Stay

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