Recensione: “Resurrection” è l’ultimo album degli ACACIA

Dopo 23 anni dall’esordio sulla scena Progressive Metal con Deeper Secrets (uscito nel lontano 1996), i siciliani Acacia tornano a farsi sentire con un album fresco di stampa: Resurrection (UNDERGROUND SYMPHONY RECORDS).

Fatta eccezione per il chitarrista-songwriter-produttore Martino Lo Casciomastermind del progetto ed unico componente invariato rispetto alla formazione originaria – la band vede nuovi elementi tra le sue fila, tutti altamente qualificati quanto ad esperienza musicale e tecnica: Gandolfo Ferro alle vocals, Simone Campione alla seconda chitarra, Massimo Provenzano al basso, e Claudio Florio dietro alle pelli.

Venendo all’album in questione, non possiamo fare a meno di notare come la forza simbolica del titolo Resurrection sia capace di trasmettere un’idea connessa alla sfera sovrumana, restando al tempo stesso saldamente legata allo sforzo quotidiano (e quindi terreno) volto a far pace con quei demoni interiori che in un modo o nell’altro, s’insinuano nelle nostre vite.

Quello che ne risulta è un’inquietudine costante, spesso contrastata da euforie momentanee scaturite da certe possibilità di riscatto. E’ il caso di “Obsession“, la magnifica traccia acustica d’apertura i cui suoni dolci e carezzevoli sembrano esser la culla di pensieri speranzosi, man mano affievoliti da un susseguirsi di accordi che constatano un dilemma fondamentale ancora irrisolto, e per questo disturbante. Spostando il fuoco verso le fasi calde di un dissidio combattuto a viso aperto, i Nostri sfoderano le ammirevoli “Light in Shadows” e “Chains of memory“, brani di matrice Power/Heavy/Prog a dar spettacolo di una lotta senza tregua tra i demoni di un passato sempre vivo e pulsioni di rinascita orientate verso oasi di serenità e slanci vitali, questi ultimi cristallizzati all’interno di coinvolgenti ritornelli, cantabili sin dal primo ascolto. Lo spessore strumentale rende epica “The Age of Glory”, lì per lì timida ma progressiva nel mostrare i propri affilati artigli, diventando sempre più grintosa fino ad esplodere in un Metal a tinte Dark dal grande impatto. Chapeau!

Alone” rimarca ancor più la vena ombrosa degli Acacia, stavolta proponendo un approccio meno impetuoso, come se l’intento della ballad sia quello di dipingere una pacata saudade mediante un complesso di suoni magnetici ed esotici (penso a certi fraseggi del basso, alle chitarre flamenco e all’assolo di chitarra) oltre alla prova vocale di Gandolfo Ferro, infine controllata anche nelle fasi meno esplosive ed acute.

Revelation Day” sembra mancare di una certa costanza, anche se il ritornello e tutta la seconda metà del pezzo suonano in maniera convincente, senza però raggiungere il livello delle precedenti o di “My Dark Side“, dotata di ottimi spunti pescati dal Metal canonico e dall’Alternative. “Seasons End“, altro ottimo momento del disco, regala suggestive atmosfere decadenti, sullo sfondo di un refrain sinfonico dai toni magniloquenti.

Gone Away” rende giustizia al Progressive Hard Rock melodico senza pretendere di strafare, con una buona seconda parte riservata agli assoli di una chitarra irrefrenabile, finchè sulle note della struggente “The Man“, l’album si concluderà dando prova di un songwriting sognante, intento a rendere quasi palpabile quella resurrezione (o riconciliazione con sè stessi) tanto agognata e spesso menzionata nel suo testo. Ma per quanto una ricongiunzione possa essere ammissibile, sarà inevitabile il ripresentarsi di nuovi, interminabili loop ai quali sottostare, forse, per l’eternità.

 

Fermo restando che gli Acacia abbiano realizzato un album da puro godimento, per le orecchie e per lo spirito, a questo punto Vi chiedo, e Vi rispondo: cosa volete di più?? La copia fisica del CD!! A questo punto Ti chiedo, e Ti rispondo: cosa vuoi di più?? La copia fisica del CD!!

A questo punto Mi chiedo, e Mi rispondo: cosa voglio di più?? La copia fisica del CD!!

Eccolo…un altro dannato loop!

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